I giganti – Morgante e Gargantua, Fracasso e Pantagruel – fanno la loro comparsa nella letteratura europea tra la fine del Quattrocento e la metà del Cinquecento. Ma la dismisura del loro corpo va di pari passo a un'altra e non meno imponente licenza: quella della loro lingua. L'idioma di Pantagruel è immenso quanto il suo corpo e altrettanto esorbitante è la lingua maccheronica del poema di Folengo. Se la furia neologistica di Rabelais non sembra aver freno (una delle parole che escogita consta di cinquantasette lettere) e stravolge da cima a fondo il lessico francese, Folengo fa molto di più: inventa non delle parole, ma una lingua, il maccheronico (così detto da «un certo gnocco impastato di farina, cacio e burro, grosso, rozzo e rusticano»), che trasgredisce senza riserve la ferma distinzione dantesca fra il volgare e il latino, latinizzando il volgare e volgarizzando il latino. Per entrambi la lingua non è più, secondo una dottrina stantia anche se tuttora dominante, il segno di un concetto della mente: è prima di tutto un corpo, che si vede, si sente, si tocca, un corpo come quello dei giganti, con una sua sconcia fisiologia e un'ancora più sguaiata anatomia: un corpo in fuga non si sa verso dove, ma certo fuori da ogni identità grammaticale e da ogni lessico definito. «Il corpo umano diventa la misura del mondo nel punto in cui, uscendo da ogni misura, diventa propriamente smisurato. Hurtaly, il gigante antenato di Pantagruel e contemporaneo del diluvio, è troppo grande per entrare nell'arca: "Stava seduto sull'arca a cavallo, una gamba di qua e una di là, come i bambini sul loro cavalluccio di legno. E in questo modo salvò l'arca dai pericoli, perché la spingeva colle gambe e col piede la girava dove voleva, come si fa col timone di una nave". Lo stesso Pantagruel è così enorme, che non può venire alla luce senza soffocare la madre Badebec, benché dal suo ventre fossero usciti prima di lui sessantotto mulattieri, ciascuno col suo mulo carico di sale, e nove dromedari con una soma stipata di prosciutti e lingue di bue affumicate – per non parlare di sette cammelli carichi di anguille e venticinque carretti pieni di porri, agli, cipolle e cipollotti. A ogni pasto il fantolino si beveva il latte di 4600 vacche e un giorno che riuscì a liberarsi dalle fasce afferrò una vacca per i garretti e "si divorò le due tette e metà della pancia". Una volta cresciuto, la sua lingua è così sconfinata che è possibile camminarci sopra per due leghe prima di entrare nell'immenso paese della bocca, dove i denti sono rocce irte "come i monti della Danimarca"». Il volume è arricchito dalle illustrazioni tratte dai "Songes drolatiques de Pantagruel", una serie composta da centoventi incisioni del 1565 attribuite a Rabelais, e dal "Baldo" di Teofilo Folengo del 1521.
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