Questo volume presenta l’intera opera di Alessandro Peregalli, una tra le figure più limpide e inattuali della poesia italiana del secolo scorso.
È una raccolta di scritti cosmologici, filosofici, satirici e amorosi che parlano degli dei e di Dio, della guerra, di orrori e di cupa grandezza, di amore, della monotonia del quotidiano. Parlano della morte. La prima sezione contiene tutta l’opera in versi, dalle raccolte pubblicate alle poesie disperse, edite in riviste o inedite; fino alle ultime poesie, ritrovate recentemente. La seconda sezione raccoglie materiali che costituiscono un controcanto indispensabile al lavoro di Peregalli poeta. Tra questi, scritti in prosa, traduzioni di frammenti da Joyce e una selezione di fotografie scattate dal poeta tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’70. In appendice una antologia della critica, che spazia dagli anni ’50 del novecento fino al 2003. La felicità è la vocazione esplicita della poesia di Peregalli, il grande respiro di passare il confine senza passaporto fin dai testi dell’Altopiano e del Cammino. Che dà contesto agli umori vari, al discorso ricorrente su Dio e con Dio, agli incontri troppo umani, alle tragedie farsesche dell’avventura bancaria, alla mente ondivaga incantata da pensieri smisurati. Felicità che si cimenta nella sua piena maturità con i panorami deserti delle ultime poesie, in cui compaiono simboli potenti eppure mutevoli, il serpente, il pesce lucente nel mare inconscio infinito, l’albero della vita e dell’amore, un Cristo raggiante pantocratore. Pasolini segnala nel primo Peregalli “ingenuità quasi elementari e intuizioni quasi straordinarie”. Ma intuizioni e ingenuità hanno bisogno le une delle altre, non possono sussistere da sole. Le geometrie di Peregalli sono sempre fuori asse rispetto al nostro punto d’osservazione. La felicità della sua voce ci costringe a cambiare prospettiva. Per coglierne il suono, per arrivare al cuore segreto della scrittura, occorre dimenticare molto e essere pronti a nuove cose, come è successo al poeta a metà della vita. La dimensione della felicità, dell’assurdità della nostra esistenza al centro di un universo aperto, sfilacciato/ d’estreme nebulose in rossa fuga,/ immensi spazi con soli nascenti/ e altri crollanti, vividi splendori/ e gorghi neri divoranti tutto/ …impulsi e libertà senza confini; il sapere di poter nuovamente inventarci pur rimanendo sempre fedeli a noi stessi sono i doni che la sua opera sconfinata e impetuosa nel suo lirismo musicale oggi continua a porgerci.